Nessuno Gioca Per Perdere – La Recensione

Fin dal primo capitolo, pardon, il primo turno, le parole dell’autore, Andrea Dado, ci colpiscono come uno schiaffo in faccia. In Nessuno Gioca per Perdere sembra quasi che le regole vengano riscritte. Ritroviamo i familiari contorni macabri dei volumi precedenti, con la stessa crudezza linguistica che raramente associamo ai giochi da tavolo. Forse a quelli di ruolo, ma mai a quelli da tavolo.

Letture serali - Nessuno Gioca per Perdere
Era tardi, ma dovevo assolutamente finire di leggerlo!

Ancora una volta, Dado ci spiazza. Forse più che nel primo libro. All’inizio ti manca l’appiglio, ti chiedi cosa stai leggendo. Poi le pagine scorrono rapide e realizzi: tutto ciò che il secondo libro ha costruito ci ha condotto esattamente qui. E mentre cerchi di riprendere fiato, ti rendi conto che l’autore ti ha già preso alle spalle. Ti immobilizza, ti graffia con le parole: “Sei mio!” E quando sembra allentare la presa, lo fa solo per sbatterti di nuovo a terra. In un continuo, incessante turbinio di emozioni.

Premessa

Non è facile parlare di questo libro e della sua trama senza rischiare di svelare troppo. Ci proverò, ma non ne parlerò approfonditamente, per scongiurare ogni rischio di spoiler. E guai a fare torto a una bella opera come questa. Una storia costruita con pazienza e cura, che trova compimento soprattutto in ciò che, nato nel primo libro, ha preso davvero forma nel secondo. Questa non è una recensione canonica, o accademica se preferite. Pur essendo un buon lettore e rientrando in quel 7-8% di persone che legge più di dieci libri l’anno, non ho le competenze per andare oltre una riflessione personale, poco più che una recensione soggettiva.

Tutti e tre i romanzi della trilogia dei Mostri del Rock, scritti da Andrea Dado per DV Games: Nel dubbio prendo risorse, I punti di contano alla fine e Nessuno gioca per perdere
Che bel trittico!

Il Secondo Libro

Ho scritto un articolo su Nel dubbio prendo risorse, ma ho glissato sul secondo. Mi fa strano effettivamente scrivere del terzo volume della saga, saltando la parte centrale. Ma perché non ho parlato di I Punti si Contano alla Fine? Semplicemente perché ho avuto la sensazione che il romanzo fosse, seppur ottimo, mancante di qualcosa. La trama principale in sottofondo, quasi avvolta da una nebbia. Come fosse in preparazione di un qualcosa che, ora lo capisco, doveva arrivare con questo terzo capitolo. Qualcosa che portasse a una degna conclusione la storia. Non mi aspettavo però un pugno allo stomaco così forte.

Il Protagonista

Stefano Scalcianti è uno psicologo e un amante dei giochi da tavolo. Ne ha una profonda conoscenza e non lo nasconde, nonostante non sia mai semplice per un giocatore affermare la propria passione e condividerla con il mondo. Spesso ci si nasconde dietro poche parole, quasi sminuendo per stemperare un imbarazzo con frasi tipo “è un hobby”. Anch’io lo facevo all’inizio, temevo il giudizio e i mezzi sorrisi delle persone che con parole taglienti cercano di sminuire questo hobby. Stefano però sa che un Giocatore, uno con la G maiuscola, dedica a questo hobby molti più pensieri di quanti se ne dedichino a lavoretti di giardinaggio o fai da te.

Una passione che lo porta quasi a vivere la vita in funzione del gioco. Una passione che lo aiuta a superare la propria disabilità. Il protagonista ha perso una mano in un incidente da ragazzo. Il gioco è la sua ancora, il suo rifugio. Un’oasi sicura in cui ritirarsi da un mondo duro, dove il bullismo e la prevaricazione sui più fragili si alimentano in una Torino descritta con precisione tagliente.

Io invidio Stefano. Certo non per la serie di sfighe in cui vive la sua vita, ma per la forza interiore che lo porta a rimettersi in gioco ogni volta, nonostante tutto.

Il trittico di romanzi di Andrea Dado per DV Games

Espedienti Letterari

Difficile parlare di questo romanzo senza rovinarvi il gusto della lettura, ma non posso non parlare dei continui salti temporali che guidano la trama. L’autore ci ha abituati a una vera e propria modalità “in prima persona”. Come un videogioco narrativo, ti costringe a guardare attraverso gli occhi del protagonista, a farti le sue stesse domande. Che, lentamente, trovano risposta attraverso i salti temporali, come flashback che si intrecciano con naturalezza al presente.

Sarà per i continui richiami, ma mentre leggevo Space Oddity, la mia canzone preferita di David Bowie, continuava a suonarmi in testa. A un certo punto ho pensato che anche l’antagonista, come Major Tom, si è perso. Non nello spazio, ma in quel luogo nascosto della mente dove il dolore si trasforma in qualcosa di più oscuro quasi a giustificare il male che ne deriva.

In Conclusione

Vorrei parlarvi di altri personaggi fondamentali e dei semplici comprimari, tutti funzionali e ben disegnati dall’autore, ma preferisco non avventurarmi oltre e rovinare sorprese (Dico solo che il mio preferito è il signor Pinna!).

Apprezzo come Dado infili elementi del suo vissuto, spaziando dalle fitte descrizioni della sua Torino, ai modi di dire e sapori tipici abruzzesi. E soprattutto ammiro la precisione con cui inserisce tecnicismi, non solo ludici. Si sente che c’è studio dietro ogni dettaglio. E poi il finale. Che dire, davvero molto ben raccontato e con grande intensità. Quattro capitoli, quattro turni di gioco, davvero ben concepiti e portati a termine con cura.

Io che tengo in mano la mia copia di Nessuno Gioca per Perdere
Ringrazio DV Games per avermi fornito questa copia per scrivere l’articolo

Lo Consiglierei a Chi Non Gioca da Tavolo?

Ecco, a essere sinceri il dubbio mi perseguitava fin dalla fine del primo romanzo. So che leggere di Avalon, Dune Imperium o Florenzia potrebbe non dire nulla a chi non gioca. Ma allo stesso tempo, nell’insieme della storia, percepisco che nell’idea dell’autore il gioco, seppur predominante (vedi un po’ tu, è edito da DV Games…) non è determinante. Tutto ruota intorno al gioco, ma chiunque, anche un non giocatore, può apprezzare la storia e lasciarsi trasportare.

Sì, fatelo leggere anche a vostra moglie o vostro marito che sbuffano quando elemosinate una partita a Patchwork. Nessuno gioca per perdere non è un libro che parla di giochi. Almeno, non solo. È un libro che parla di rivincita. Anche perché, come l’autore ci insegna, perde solo chi smette di giocare.

P.S. Se non vi ho convinti a leggere questo romanzo, provate a farvi un’idea di come scrive Andrea andando sul suo blog, potreste cambiare immediatamente idea!

Ricordatevi di ringraziarmi poi…

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